C’è una qualità rara nel lavoro di Matteo Thun: la capacità di rendere naturale ciò che è complesso. Che si tratti di un rifugio tra i boschi, di un grande hotel urbano o di una tazzina da espresso che sta perfetta tra le dita, il suo progetto sembra sempre “già lì”, come se avesse solo liberato una forma in attesa di essere trovata. È un approccio che nasce in Alto Adige, cresce con l’energia di Memphis accanto a Ettore Sottsass e matura a Milano in uno studio che mette insieme architettura, interni e prodotto con la stessa cura per la vita reale.
INDICE
- Radici, formazione e la scintilla di Memphis
- Dal collettivo al proprio studio: Milano come laboratorio quotidiano
- Una filosofia chiara: long life, low-tech, high touch
- Ospitalità consapevole: resort alpini, città porose e hotel che respirano
- Interni che durano: ristoranti, spa, retail e camere da vivere
- Oggetti e utensili: dal gesto dell’espresso alla luce che accompagna
- Materiali e superfici: legno, pietra, ceramica e la cultura del tatto
- L’eredità di Sottsass: libertà, misura e colori che sanno aspettare
- Come portare lo sguardo di Thun in casa (senza cambiare tutto)
- Valore, autenticità e usato di qualità: acquistare con criterio su Deesup
- Matteo Thun & Partners e l’Atelier: due anime, una regia
- Conclusioni – La bellezza pacata che invecchia bene
1. Radici, formazione e la scintilla di Memphis
Le montagne intorno a Bolzano insegnano presto a misurare le cose con la luce e con il tempo. Matteo Thun cresce in un territorio dove il legno ha odori e suoni ben definiti, e dove la ceramica è una storia di famiglia: quella che a Bolzano prende vita grazie a Lene e Otmar Thun, fondatori dell’azienda Thun, tra mani che modellano e forni che cuociono lentamente. L’architettura arriva come dovere e piacere insieme: lo sguardo dell’ingegnere unito alla sensibilità dell’artigiano. Poi, all’inizio degli anni Ottanta, la chiamata di Milano e l’incontro con Ettore Sottsass. Con Memphis si spezzano abitudini consolidate: il colore diventa grammatica, le geometrie si mettono a ballare, il progetto torna racconto. Thun impara a osare e, allo stesso tempo, a togliere. Due attitudini che resteranno per sempre.
2. Dal collettivo al proprio studio: Milano come laboratorio quotidiano
Archiviata la stagione dei manifesti, la città diventa officina. Nasce lo studio che porta il suo nome, in seguito evoluto in una realtà con più anime e competenze. La sede milanese non è vetrina, è base di partenza: qui si intrecciano architettura, interni e design del prodotto, con un modo di lavorare che assomiglia più a una bottega che a un ufficio. L’idea è semplice e impegnativa: creare luoghi e oggetti che servano davvero chi li usa, riducendo retorica, costi di manutenzione e impatto ambientale. Le collaborazioni con partner industriali e brand dell’ospitalità arrivano perché questa lingua è comprensibile a tutti: chi gestisce, chi abita, chi pulisce, chi ripara.
3. Una filosofia chiara: long life, low-tech, high touch
Tre espressioni riassumono il metodo di Thun:
- Long life: puntare su forme essenziali che non stancano e su materiali riparabili.
- Low-tech: scegliere soluzioni costruttive comprensibili e verificabili in cantiere; tecnologia sì, ma dove serve davvero.
- High touch: privilegiare la dimensione tattile – la maniglia che sta bene in mano, il pavimento che non scivola, la luce che non abbaglia.
È qui che si capisce la differenza tra un oggetto “nuovo” e uno “giusto”: il primo fa effetto il giorno dell’inaugurazione, il secondo continua a funzionare e a piacere dopo dieci anni.
4. Ospitalità consapevole: resort alpini, città porose e hotel che respirano
Per Matteo Thun l’architettura dell’ospitalità è prima di tutto un ascolto del luogo. Nei suoi resort alpini – dal Vigilius Mountain Resort in Alto Adige all’Hotel Quellenhof – le facciate scelgono legni locali e pietre ossidate, mentre i volumi si frammentano in corpi più piccoli per non interrompere la linea del paesaggio. In città adotta la stessa logica, disegnando spazi porosi e aperti: lobby che sembrano salotti di quartiere, ristoranti accessibili anche a chi non è ospite. La sostenibilità, per lui, non è un’etichetta ma una pratica quotidiana: schermature che riducono i carichi estivi, materiali a ciclo di vita trasparente, impianti semplici da mantenere. Così nascono edifici che invecchiano bene, senza inseguire mode passeggere.
5. Interni che durano: ristoranti, spa, retail e camere da vivere
Negli interni, Thun persegue il comfort silenzioso. Nei ristoranti gioca con luci calde e sedute che invitano a fermarsi; nelle spa predilige legni oliati e pietre naturali che assorbono la voce; nelle camere d’albergo crea micro-ambienti fluidi, dove il letto non è il protagonista e una scrivania funzionale trova sempre posto. Nei suoi progetti – dalle suite del Waldhotel Bürgenstock agli spazi wellness di Aqua Dome – la decorazione è sempre parte della struttura: una boiserie studiata, un intonaco di calce, un disegno di piastrelle dai toni pacati. Il filo conduttore è un ritmo lento e calibrato: aperture, luci, tende e superfici si muovono senza fretta, seguendo il passo dell’ospite.
6. Oggetti e utensili: dal gesto dell’espresso alla luce che accompagna
Il product design di Matteo nasce dalla stessa attenzione al gesto. La tazzina disegnata per Illy, con bordo spesso ma accogliente e manico che ospita il pollice, è ormai un’icona. Attorno a essa, le sue posate, pentole, sedute e lampade per brand come Zwilling e Artemide non cercano protagonismo: sono fatte per essere usate, lavate, rimesse a posto. La luce, in particolare, segue il corpo e l’attività: lampade da tavolo con bracci orientabili per il lavoro, diffusori morbidi per il relax. Sempre con un segno discreto, che sembra dire: “la scena è tua, non mia”.
7. Materiali e superfici: legno, pietra, ceramica e la cultura del tatto
Per Thun il cantiere è un laboratorio di materia. Nei progetti di montagna utilizza legni locali spazzolati e oliati, pietre con finiture antiscivolo per spa e aree wellness, intonaci minerali che respirano. Negli interni residenziali e negli hotel adotta ceramiche sottili e grandi formati che semplificano la manutenzione, mantenendo la calma visiva dei materiali naturali. Anche il colore è dosato con misura: verdi salvia, rossi bruciati, blu profondi come contrappunto alla neutralità. In ogni caso, la superficie deve invitare al tatto, perché per Thun il design è prima di tutto una relazione sensoriale con chi lo vive.
8. L’eredità di Sottsass: libertà, misura e colori che sanno aspettare
Chi ha attraversato la rivoluzione di Memphis non può dimenticarla. Della lezione di Sottsass restano la libertà e la capacità di “vedere” l’oggetto come compagno di viaggio, non come monumento. Nel lavoro maturo di Thun la sorpresa non scompare: cambia tono. I colori si abbassano, le geometrie smettono di scalciare, ma ogni tanto un bordo smaltato, una maniglia tornita o un profilo in ottone ricordano che il progetto può ancora sorridere. È un’ironia educata, che arriva in seconda battuta e rende gli interni familiari senza diventare prevedibili.
9. Come portare lo sguardo di Thun in casa (senza cambiare tutto)
La parte bella è che questo approccio si può replicare. Inizia da una palette pacata: avorio, grigi caldi, legno naturale. Aggiungi un accento pieno (verde bosco o blu notte) in un solo elemento — un tappeto, una poltroncina, una serie di piastrelle nella nicchia del bagno. Scegli luci regolabili: un braccio vicino alla scrivania e un globo opalino per il living bastano a cambiare l’umore. Per la cucina, pensa a maniglie comode e superfici che non temono le mani: acciaio satinato, pietra spazzolata, ceramica materica. E poi lascia respiro attorno ai pezzi: il vuoto è un materiale, non un’assenza.
Tre accostamenti che funzionano subito
- Rovere oliato + pietra scura + ottone satinato.
- Frassino naturale + ceramica color salvia + lino grezzo.
- Noce canaletto + parete a calce avorio + luci a 2700 K.
10. Valore, autenticità e usato di qualità: acquistare con criterio su Deesup
Quando si sceglie un prodotto firmato, contano i dettagli. Per porcellane e tazze verifica la qualità dell’impasto e la nitidezza del marchio sotto la base; per lampade e arredi controlla etichette, proporzioni e finitura dei bordi; per superfici e piastrelle, osserva la coerenza del tono e la planarità. L’usato di qualità è un alleato prezioso: su Deesup compaiono ciclicamente pezzi firmati dal team di Thun –dalle luci agli accessori da tavola –fotografati in macro, con misure, stato reale e verifiche di originalità. È il modo più semplice per portarsi a casa un oggetto ben progettato, allungarne la vita e scegliere in modo sostenibile, senza rinunciare all’emozione di un’icona.
11. Matteo Thun & Partners e l’Atelier: due anime, una regia
La struttura di lavoro è pensata per tenere insieme visione e dettaglio. Da una parte un team internazionale che segue hotel, residenze, edifici per la salute e il benessere; dall’altra un atelier capace di dialogare con artigiani e produttori per prototipi, serie limitate e soluzioni su misura. In questo ecosistema si muove anche un sodalizio creativo con Antonio Rodriguez, particolarmente efficace nella progettazione di prodotto: ergonomia, semplicità, produzione attenta. È una regia unica con più strumenti: dall’urban resort al mestolo, la coerenza sta nella qualità dell’uso.
12. Conclusioni – La bellezza pacata che invecchia bene
Il modo migliore per capire Matteo Thun è abitare, non guardare. I suoi alberghi vogliono essere vissuti, le sue tazze usate ogni mattina, le sue lampade accese e spostate con la naturalezza di chi non deve pensarci. È un progetto che non rincorre la novità per sé, ma per ciò che restituisce alle persone: tempo, quiete, piacere tattile. Portarne un pezzo in casa – magari trovato su Deesup in ottime condizioni – significa scegliere la via dell’essenziale ben fatto: poco rumore, molta sostanza, e un’eleganza che col tempo migliora. Perché quando la forma nasce dal gesto, ciò che resta non è l’effetto, è la vita che ci scorre dentro.
Fonte immagine: Living – https://living.corriere.it/