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Anna Castelli Ferrieri: la mente curiosa dietro i contenitori che hanno cambiato la casa

Posted on 18 Settembre 202518 Settembre 2025

Ci sono progettisti che inventano oggetti e altri che inventano abitudini. Castelli Ferrieri appartiene alla seconda specie: usa la forma per semplificare la vita, porta il linguaggio dell’industria dentro le stanze e dimostra che la plastica – se ben progettata – può essere colta e duratura. Il suo percorso attraversa architettura, interni, prodotto e critica, unendo rigore e poesia quotidiana. È la prova che il design migliore non grida: ti aiuta a vivere meglio.

INDICE

  1. Un talento cresciuto tra libri e officine
  2. Politecnico e maestri – l’officina del metodo
  3. Dal laboratorio alla fabbrica – l’incontro con la plastica
  4. I contenitori cilindrici che hanno fatto scuola
  5. Dal prodotto all’architettura – uffici, fabbriche, musei aziendali
  6. La lezione del Bauhaus – misura, modularità, colore
  7. Scrivere, criticare, progettare – riviste e movimenti
  8. Una professionista in prima linea – ruoli, premi, responsabilità
  9. Riconoscere l’originale – materiali, dettagli, marchiature
  10. Arredare oggi con il suo sguardo – consigli per ambienti reali
  11. Acquistare in modo consapevole – sostenibilità e usato selezionato
  12. Conclusioni – la misura che fa durare le idee

1. Un talento cresciuto tra libri e officine

L’infanzia e la giovinezza della futura progettista scorrono in una Milano colta e laboriosa. A casa, grazie al padre Enzo Ferrieri – figura chiave dell’ambiente culturale cittadino – si respirano parole, musica e cinema. Nei salotti e nei circoli animati da Ferrieri passano autori e artisti che segneranno il Novecento: da Luigi Pirandello a James Joyce, da Thomas Mann a Umberto Saba, con l’eco delle avanguardie di Filippo Tommaso Marinetti, le visioni metafisiche di Giorgio De Chirico, le geometrie di Fortunato Depero e persino suggestioni musicali che guardano a Maurice Ravel. La città, con i suoi teatri e le sue manifatture, fa da cerniera tra cultura e produzione: un contesto ideale per chi imparerà a cucire poesia e tecnica.
Questa doppia anima – libri e officine – resterà la sua bussola. Da un lato la curiosità intellettuale, dall’altro il rispetto per chi lavora la materia. L’idea che l’oggetto non sia solo “cosa”, ma servizio, nasce qui: nelle cucine rumorose, nei cortili delle case di ringhiera, nelle linee delle fabbriche dove si capisce che il progetto funziona quando semplifica i gesti.

2. Politecnico e maestri – l’officina del metodo

La formazione al Politecnico di Milano è una scuola di rigore e libertà. Nelle aule e negli studi si intrecciano esperienze con maestri come Franco Albini e Ignazio Gardella, che insegnano misura, precisione, rispetto del contesto. Non è solo un apprendistato tecnico: è una disciplina morale. Il dettaglio non è decorazione, è responsabilità; il cantiere non è un passaggio obbligato, è il luogo in cui le decisioni si misurano con la realtà.
Nella Milano del dopoguerra l’architettura è chiamata a ricostruire: case, scuole, uffici, arredi. Qui matura una sensibilità che la accompagnerà sempre – ergonomia prima dell’iconografia, qualità prima dell’effetto. Quando più tardi affronterà il prodotto industriale, porterà con sé questo sguardo: un oggetto è ben disegnato se funziona a lungo, se invecchia bene, se si ripara, se fa posto alla vita.

3. Dal laboratorio alla fabbrica – l’incontro con la plastica

Il passo decisivo arriva con l’avventura che cambierà il design italiano del secondo Novecento: la collaborazione con Kartell, impresa guidata da Giulio Castelli, ingegnere chimico con la passione per i materiali e le tecnologie di stampaggio. Nel dialogo tra architettura e chimica, tra progetto e macchina, nascono prodotti leggeri, intelligenti, democratici. La plastica smette di essere “economica” per diventare moderna: trasparente quando serve alleggerire, satinata quando occorre attenuare la luce, colorata per dare ritmo.
Non si tratta solo di estetica. Lo stampaggio a iniezione consente tolleranze strette, spessori controllati, pezzi monoscocca. Il risultato è un linguaggio nuovo: raggi generosi che non si spezzano, guide che scorrono, incastri che non cedono. È la palestra perfetta per una progettista che ama semplificare i gesti e ridurre la manutenzione a pochi, facili passaggi.

4. I contenitori cilindrici che hanno fatto scuola

Tra i progetti più longevi del Novecento ci sono i celebri contenitori cilindrici con sportellini scorrevoli – un’idea nata per rispondere a esigenze reali: contenere vicino al punto d’uso, proteggere dalla polvere, occupare poco spazio visivo. La forma circolare non ha spigoli che intralciano; i moduli si impilano, si spostano, passano dal bagno alla camera, dalla zona giorno allo studio. Nel tempo cambiano materiali e finiture, ma la logica resta la stessa: un gesto, un’azione.
La loro forza è la normalità. Non chiedono un interno “da rivista”, funzionano in case piccole e grandi. In un bagno medio, due elementi affiancati nascondono asciugacapelli e detergenti; in camera, una versione bassa sostituisce il comodino e libera il piano; in soggiorno, il cilindro diventa appoggio per libri e telecomandi. È design che entra nella routine senza fare rumore, ed è proprio per questo che è diventato un classico.

5. Dal prodotto all’architettura – uffici, fabbriche, musei aziendali

La stessa mente che semplifica i contenitori sa leggere la scala dell’edificio. Nei complessi produttivi e direzionali progettati o coordinati nel corso della carriera – dall’area milanese legata all’industria automobilistica fino al polo Kartell di Noviglio – il filo conduttore è sempre il rapporto onesto tra funzione e forma: percorsi chiari, luce naturale, impianti ordinati, spazi di lavoro che rispettano le persone.
Il tema dell’identità d’impresa è centrale. L’architettura non è solo “involucro”: racconta chi sei. Per questo layout e interni dialogano con il prodotto e con la comunicazione, anticipando quella che oggi chiameremmo “brand experience”. Dove c’è un museo aziendale, la narrazione segue la stessa etica: non salotti celebrativi, ma luoghi dove capire come si fanno le cose e perché certe scelte contano ancora.

6. La lezione del Bauhaus – misura, modularità, colore

Il suo modo di progettare deve molto alla cultura europea che ruota attorno al Bauhaus: unire arte e tecnica, pensare moduli, lavorare con il colore come strumento funzionale. Nella casa questo si traduce in proporzioni calme, superfici facili da manutenere, volumi che non schiacciano. Il colore serve a ordinare – non a esibire. Un cilindro bianco vicino a una parete avorio quasi scompare; in versione rossa diventa segnalatore, utile in corridoio o in ingresso.
La modularità, poi, è un invito alla crescita nel tempo. Parti standard, ricambi semplici, possibilità di aggiungere senza rifare tutto: è un’idea profondamente sostenibile prima ancora che la parola diventasse di moda. E la misura del segno – niente virtuosismi inutili – permette agli oggetti di convivere con arredi classici, pezzi artigianali, soluzioni su misura.

7. Scrivere, criticare, progettare – riviste e movimenti

Accanto al fare c’è il pensare. La progettista dialoga con la critica, scrive e partecipa a dibattiti su riviste come Costruzioni–Casabella e Architectural Design, portando in quelle pagine la concretezza del cantiere e dell’industria. È presente nei circuiti professionali, dagli incontri dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) al MSA (Movimento Studi per l’Architettura), dove la città si discute prima su carta e poi nella realtà.
Questa dimensione pubblica non è accessoria: spiega perché il suo design non è mai autoreferenziale. Ogni pezzo è una risposta a un contesto, ogni interiore ha una ragione, ogni forma è un compromesso intelligente tra vincoli e desideri. Quando il dibattito diventa polarizzato – decoro contro funzione, macchina contro artigianato – lei sceglie la terza via: precisione umana.

8. Una professionista in prima linea – ruoli, premi, responsabilità

Il percorso professionale attraversa studi associati, docenze, incarichi di direzione e consulenza. Nelle collaborazioni con industrie, enti pubblici e committenze private la firma non è mai un timbro, ma un metodo: ascolto, verifica, dettaglio. Nel tempo arrivano riconoscimenti e incarichi istituzionali; cresce anche la rete di relazioni con il mondo dell’arte – basti ricordare il dialogo con pittori come Rodolfo Aricò, che condividono la ricerca su ritmo, superficie, colore.
Essere una donna in un ambiente dominato da uomini non è un elemento folcloristico, ma un dato di contesto: ha significato aprire strade, negoziare spazi, formare squadre in cui il merito conta più della posa. Il risultato si vede: progetti che tengono nel tempo, team che crescono, clienti che ritornano.

9. Riconoscere l’originale – materiali, dettagli, marchiature

Chi desidera un pezzo storico sa che l’occhio fa metà del lavoro. Nei contenitori cilindrici osserva innanzitutto la scorrevolezza degli sportelli: devono seguire la curva senza “saltare”, con luce regolare tra anta e corpo. Controlla lo spessore delle pareti (costante), la qualità degli spigoli (mai taglienti), la verticalità (niente torsioni). Le marchiature – logo, informazioni sul materiale, talvolta il paese di produzione – sono pulite e leggibili; all’interno, l’iniezione non lascia bave evidenti.
Per le versioni più recenti, spesso realizzate con polimeri riciclati o finiture speciali, verifica uniformità cromatica e compattezza del materiale; per le serie storiche in ABS, tollera leggere variazioni tonali dovute all’età ma diffida da ingiallimenti anomali. Se l’oggetto presenta ruote o accessori (vassoi, piani), assicurati che siano coerenti con il periodo e l’edizione. Un buon venditore fornisce misure esatte, foto macro e, quando possibile, provenienza.

10. Arredare oggi con il suo sguardo – consigli per ambienti reali

Il modo migliore per portare in casa la lezione di Castelli Ferrieri è lavorare per accenti intelligenti. In un bagno piccolo, un modulo cilindrico affiancato a un lavabo sospeso crea un’area di servizio pulita e ordinata; scegli pareti chiare e lascia respirare il pezzo. In camera, una versione bassa sostituisce il comodino: sopra metti una luce opalina e un libro; sotto restano nascosti caricabatterie e creme. In soggiorno, due cilindri a diversa altezza accanto al divano funzionano come tavolini morbidi: il piano resta libero, gli accessori spariscono.
La regola del colore è semplice: una tinta protagonista, il resto neutro. Se il contenitore è rosso o blu, lascia il tappeto in lana naturale e le pareti avorio; se è bianco, puoi osare con un quadro grafico o un tessile a trama larga. Il linguaggio della progettista convive bene con legni caldi, pietre opache e metalli satinati. Anche con arredi “classici” l’intesa è naturale: la forma essenziale non fa a pugni, smussa.

11. Acquistare in modo consapevole – sostenibilità e usato selezionato

Gli oggetti nati bene invecchiano bene. Scegliere un pezzo storico significa allungarne il ciclo di vita e ridurre l’impronta ambientale. Quando valuti un acquisto, cerca canali che selezionano e verificano: su Deesup trovi schede con stato di conservazione, foto dei dettagli, misure reali e verifiche di originalità, così puoi decidere con serenità e portare a casa l’edizione giusta per il tuo spazio.
Per la manutenzione bastano panno in microfibra e detergente neutro; evita solventi e abrasive. Se compaiono piccoli graffi superficiali, esistono polish per plastiche da usare con dischi morbidi e movimenti lenti. In ambienti molto soleggiati, proteggi le superfici con tende leggere; nel bagno, asciuga eventuali gocce per evitare aloni. Sono attenzioni minime che garantiscono anni di servizio senza sorprese.

12. Conclusioni – la misura che fa durare le idee

La lezione di Castelli Ferrieri è tutta in una parola: misura. Misura nel segno – volumi chiari, raggi generosi, superfici pulite. Misura nelle scelte – materiali coerenti con l’uso, tecnologie che semplificano la vita. Misura, soprattutto, nel rapporto con chi abita: un design che non impone, accompagna. È per questo che i suoi oggetti attraversano decenni e stili senza invecchiare. Portarli in casa oggi significa scegliere qualità che resiste, funziona davvero e lascia spazio alle persone. Se poi quel pezzo arriva da una storia precedente – magari trovato nell’usato selezionato e verificato di Deesup – il valore raddoppia: sostenibilità concreta e memoria. È il modo più intelligente per tenere viva una tradizione che ha fatto grande il progetto italiano, tra fabbriche ben disegnate, riviste che hanno formato generazioni e oggetti quotidiani capaci di trasformare la nostra routine in un gesto più semplice.

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