C’è un filo rosso che attraversa tutta la carriera di Aldo Cibic: la voglia di progettare luoghi e oggetti che generano relazioni. Non un “segno” da riconoscere a distanza, ma un’attitudine: capire come viviamo, come ci incontriamo, come potremmo essere più felici. Da Memphis al laboratorio di ricerca, dalle installazioni alle camere d’albergo, la sua è una modernità civile, capace di passare dalla tavola al quartiere senza perdere delicatezza.
INDICE
- Dalle origini alla stagione Memphis: un apprendistato nella bottega di Sottsass
- Lo studio e l’autoproduzione: la collezione Standard e una nuova idea di “casa”
- Cibic Workshop: ricerca, territorio e comunità
- Ospitalità, retail e spazi pubblici: architetture che fanno dialogare le persone
- Oggetti e arredi: dal linguaggio Memphis a una “normalità” felice
- Insegnare, imparare, contaminare: la rete accademica internazionale
- Un metodo più che uno stile: cosa significa progettare con empatia
- Portare Cibic in casa: atmosfere, palette e abbinamenti che funzionano
- Comprendere valore e autenticità: come leggere materiali e finiture
- Dove cercare (anche usato certificato): gallerie, musei e Deesup
- Matteo e Aldo Cibic: design di famiglia tra innovazione e continuità
- Conclusioni – Perché i suoi progetti invecchiano bene e migliorano i nostri giorni
1. Dalle origini alla stagione Memphis: un apprendistato nella bottega di Sottsass
Nato a Schio nel 1955, Cibic arriva giovanissimo a Milano e si forma accanto a Ettore Sottsass, fino a diventarne socio nello studio e, nei primi anni Ottanta, uno dei volti della stagione più libera e contagiosa del design italiano: Memphis. In quel contesto impara che il colore può essere grammatica, la geometria un ritmo, l’ironia uno strumento critico. Lontano dall’iconografia “di maniera”, mette a fuoco un’idea semplice: gli oggetti possono raccontare storie senza smettere di essere utili, e l’industria può costruire emozioni senza perdere rigore. È un imprinting che non lo abbandonerà più.
2. Lo studio e l’autoproduzione: la collezione Standard e una nuova idea di “casa”
Alla fine degli anni Ottanta apre il proprio studio e poco dopo presenta Standard, una collezione autoprodotta che nasce direttamente dal suo loft milanese: mobili e complementi pensati per la vita reale, privi di retorica, pronti a essere usati e riusati. L’autoproduzione non è un vezzo, ma un modo per accorciare la distanza tra progetto e abitare, misurando gli oggetti nell’esperienza quotidiana prima ancora che nella vetrina. È la stessa etica che ritroveremo negli interni, negli allestimenti, nelle mostre-racconto.
3. Cibic Workshop: ricerca, territorio e comunità
Con il laboratorio di ricerca Cibic Workshop, il progettista fa un passo ulteriore: osserva la città e le campagne come ecosistemi umani, immagina scenari dove le persone tornano protagoniste. Microrealities (2004) e Rethinking Happiness (2010) – presentati alla Biennale Architettura di Venezia – diventano due tappe fondamentali: plastici, narrazioni e casi studio che mostrano come nuove forme di comunità possano nascere dall’intreccio fra spazi, servizi e gesti quotidiani. Non sono utopie astratte: sono “istruzioni per l’uso” di una convivenza più intelligente, che mette al centro prossimità, lavoro, tempo libero e cura.
4. Ospitalità, retail e spazi pubblici: architetture che fanno dialogare le persone
Quando passa alla scala dell’architettura, il suo sguardo resta lo stesso: creare luoghi capaci di accogliere. Il restauro e la rifunzionalizzazione del Teatro Ristori a Verona lo dimostrano bene: non una semplice “rinfrescata”, ma la costruzione di un polo culturale che vive anche fuori orario grazie a spazi espositivi e a un ingresso che diventa piccola piazza. In città, il suo nome ricorre anche nella progettualità legata a fondazioni attive sul territorio, con interventi attenti alla luce e alla qualità ambientale degli spazi interni.
5. Oggetti e arredi: dal linguaggio Memphis a una “normalità” felice
Nei prodotti, Cibic passa con naturalezza dall’esuberanza degli esordi alla calma operosa di un design che chiede di essere usato ogni giorno. Il tavolino Atlas (1983) per Memphis spiega tutto in una scena: una base quasi “iper-costruita” sostiene con leggerezza un piano in vetro, combinando cerchio e quadrato come in un gioco di incastri. Poi, negli anni, arrivano piccoli servizi per la tavola, vasi, contenitori, elementi d’arredo dove il colore diventa accento e non travestimento, il dettaglio è un invito al tatto e la funzione non si perde mai. È una bellezza che vive nel gesto, più che nella posa.
6. Insegnare, imparare, contaminare: la rete accademica internazionale
Accanto ai progetti, c’è l’impegno in università e centri di ricerca: Milano, Venezia, Shanghai. Qui il tema non è solo trasmettere tecniche, ma allenare uno sguardo: costruire luoghi che facilitino relazioni, lavorare con materiali onesti, misurare l’effetto sociale del progetto. Tra le collaborazioni ci sono Domus Academy, il Politecnico di Milano, lo IUAV e una lunga esperienza alla Tongji University, dove porta l’idea che la città sia un organismo da curare nel quotidiano. È un circuito virtuoso: dal cantiere all’aula, e ritorno.
7. Un metodo più che uno stile: cosa significa progettare con empatia
Chiamarlo “stile” sarebbe riduttivo. La sua è una postura progettuale: ascoltare chi abiterà lo spazio, cercare soluzioni che facilitino gli incontri, disegnare percorsi chiari, luci calde, materiali che non intimidiscono. La tecnologia c’è, ma non fa scena; l’effetto speciale è la vita che si anima intorno agli oggetti. È un design che non si accontenta della forma: si misura sul benessere di chi lo usa, sulla capacità di un interno di cambiare abitudini in meglio, sul piacere – colpevolmente trascurato – di stare insieme.
8. Portare Cibic in casa: atmosfere, palette e abbinamenti che funzionano
Se ti piace il suo sguardo, puoi ricrearlo con pochi, buoni ingredienti. Parti da una palette gentile — avorio, verde salvia, tabacco – e inserisci un accento pieno (giallo o blu) come farebbe un direttore d’orchestra. Un tavolino grafico vicino a un divano morbido, una lampada da lettura con luce calda, un vaso dalla geometria elementare su una consolle in legno naturale: piccoli “inneschi” che invitano all’uso. Se ami la memoria di Memphis, prova un pezzo color-block su sfondo neutro: l’ironia resta, ma parla sottovoce. E lascia sempre respiro attorno ai volumi: l’armonia nasce dallo spazio più che dalla somma di oggetti.
9. Comprendere valore e autenticità: come leggere materiali e finiture
Nel secondo mercato contano dettagli concreti. Nei prodotti anni Ottanta verifica laminati e bordature (devono essere puliti, senza rigonfiamenti), controlla la qualità delle verniciature e, se c’è il vetro, guarda omogeneità e appoggio sul telaio. Per i pezzi più recenti, leggi bene etichette, marchiature e provenienza: sapere dove e quando sono stati prodotti aiuta nella manutenzione – un panno in microfibra e detergenti neutri, niente abrasive; se ci sono parti smontabili, conserva viti e piastrine in sacchetti separati. Nel dubbio, confronta sempre misure e proporzioni con schede ufficiali o archivi delle aziende: il design ben fatto “torna” millimetro per millimetro.
10. Dove cercare (anche usato certificato): gallerie, musei e Deesup
Per vedere dal vivo il lavoro di Cibic, gli archivi delle aziende e le mostre tematiche sul design italiano sono un ottimo punto di partenza. Se vuoi portare a casa un suo oggetto, affida la ricerca a canali che trattano arredi con competenza: gallerie, case d’asta e marketplace specializzati. Su Deesup trovi spesso selezioni di pezzi anni Ottanta e prodotti contemporanei descritti con foto macro, misure reali e stato di conservazione, così puoi acquistare in serenità e prolungare la vita di un oggetto che merita di essere usato, non solo ammirato.
11. Matteo e Aldo Cibic: design di famiglia tra innovazione e continuità
Matteo Cibic, nipote di Aldo Cibic, porta avanti con passione e originalità l’eredità creativa dello zio. La loro relazione va oltre il legame familiare: Aldo ha saputo trasmettere a Matteo non solo l’amore per il design, ma anche un approccio innovativo che coniuga funzionalità, colore e narrazione. Insieme rappresentano un continuum generazionale, dove la tradizione si fonde con la sperimentazione, contribuendo a plasmare nuovi linguaggi e visioni nell’ambito del design internazionale.
12. Conclusioni – Perché i suoi progetti invecchiano bene e migliorano i nostri giorni
Guardare oggi al lavoro di Cibic significa riconoscere una modernità gentile, capace di sommare esperienza e desiderio. L’oggetto è pretesto per incontrarsi, l’interno è un gesto di ospitalità, l’architettura un servizio pubblico. Ecco perché i suoi progetti invecchiano bene: non inseguono l’effetto, ma la qualità d’uso; non si accontentano della fotografia, vogliono essere abitati. Per chi arreda, la lezione è preziosa: scegli pochi pezzi ben progettati, curane la manutenzione, costruisci attorno a loro relazioni – di luce, materiali, persone. Il resto verrà da sé. E se cerchi un esemplare con storia, falli girare: l’usato certificato fa bene alla casa, al pianeta e alla cultura del progetto.
Fonte immagine: Living – https://living.corriere.it/