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Memphis: il movimento che ha trasformato la casa in un’opera pop

Posted on 8 Agosto 20258 Agosto 2025

In una notte di dicembre del 1980, tra le pareti scarlatte dell’appartamento milanese di Ettore Sottsass, un manipolo di giovani progettisti decise di far saltare in aria le buone maniere del modernismo. Fu l’inizio di Memphis: non un semplice marchio, ma un’onda di colori squillanti, pattern audaci e citazioni ironiche che avrebbe ribaltato le regole del design internazionale. Quarant’anni dopo, librerie totemiche e lampade zoomorfe continuano a far discutere collezionisti, musei e interior decorator in cerca di anticonformismo. Ripercorriamo dunque la parabola di Memphis Milano – dalle radici radical all’attuale mercato dell’usato – per capire perché quei segni eccessivi continuano a parlarci di libertà creativa.

INDICE

  1. La miccia degli anni Ottanta: l’alba di un nuovo linguaggio
  2. I protagonisti e lo spirito del gruppo
  3. Dal Bauhaus al radical design: il contesto di rottura
  4. Il debutto al Salone 1981 e lo choc internazionale
  5. Oggetti manifesto: Carlton e i totem domestici
  6. Materiali, colori e ironia: la grammatica Memphis
  7. Pop culture e collezionismo: dal rock alle aste record
  8. Memphis Milano nell’orbita Italian Radical Design
  9. Dove trovare veri pezzi Memphis
  10. Integrare un arredo Memphis in interni contemporanei
  11. Revival post-modern: nuove generazioni, nuovi pattern
  12. Conclusioni  – Un antidoto permanente alla noia progettuale

1. La miccia degli anni Ottanta: l’alba di un nuovo linguaggio

Milano, dicembre 1980: Ettore Sottsass invita amici e allievi – Michele De Lucchi, Nathalie Du Pasquier, Martine Bedin, Marco Zanini tra gli altri – per discutere del futuro del design. Sul giradischi gira Bob Dylan con “Stuck Inside of Mobile with the Memphis Blues Again”, brano che diventa immediatamente un segnaposto concettuale e onomastico. L’obiettivo è chiaro: scardinare la rigida estetica funzionalista, sostituendo il “buon gusto” con l’emozione, lo humour, il disordine controllato. Quando l’anno seguente le loro creazioni appaiono al Salone del Mobile, l’industria scopre un dialetto visivo fatto di zig-zag, diagonali impossibili e colori satura-pop, all’opposto del grigio ufficio che aveva dominato la scena fino ad allora.

2. I protagonisti e lo spirito del gruppo

Ettore Sottsass funge da catalizzatore, ma Memphis è corale: accoglie figure eterogenee – architetti di formazione razionalista, grafici, persino artisti autodidatti – che rivendicano pari dignità progettuale. Tra i membri più noti figurano Andrea Branzi, Aldo Cibic, Nathalie Du Pasquier, Michele De Lucchi, Shiro Kuramata, George Sowden e Matteo Thun. Il gruppo si scioglierà nel 1987, ma in appena sette anni produrrà più di un centinaio di pezzi: mobili, lampade, ceramiche, tessuti; un catalogo caleidoscopico che ancora oggi si sfoglia come un manifesto di creatività senza confini.

3. Dal Bauhaus al radical design: il contesto di rottura

Per capire l’urto di Memphis bisogna ricordare che, dagli anni Venti in poi, la filiera progettuale era dominata dalle eredità Bauhaus: ortogonalità, rigore cromatico, funzione prima di tutto. Negli anni Sessanta però il radical design italiano – Archizoom, Superstudio, UFO – contesta la purezza modernista proponendo utopie visionarie. Memphis assorbe quello spirito ribelle e lo trasforma in prodotto: non più macchine per abitare, ma narrazioni tridimensionali che ironizzano sulla stessa idea di “buon design”. Il risultato è un postmodernismo gioioso che mette fianco a fianco pattern di laminato economico e marmi pregiati, cilindri neoclassici e profili cartoon.

4. Il debutto al Salone 1981 e lo choc internazionale

Al Salone del Mobile del 1981 le pareti dello stand Memphis sembrano esplodere di luci al neon, mentre i visitatori si aggirano tra tavoli sostenuti da palle da bowling, credenze inclinate come ruote panoramiche, lampade che ricordano animali totemici. Giornalisti stranieri coniano definizioni icastiche – “a shotgun wedding between Bauhaus and Fisher-Price”, scriverà qualcuno – e i magazine di moda consacrano il movimento come nuova avanguardia visiva. Da quel momento in poi Memphis diventa sinonimo di esuberanza, piaccia o meno agli ortodossi.

5. Oggetti manifesto: Carlton e i totem domestici

Fra tutte le creazioni, la libreria-divisorio Carlton disegnata da Sottsass resta l’emblema assoluto: un’alternanza di pieni e vuoti multicolore su base antropomorfa, capace di dividere un ambiente senza erigere muri e di sovvertire la logica del mobile “servitore”. Ma l’elenco dei pezzi iconici è lungo: la sedia Bel Air di Shiro Kuramata con schienale a pinna verde acqua, la lampada Tahiti di Bedin a forma di pappagallo, il tavolo First di De Lucchi sorretto da piramidi inclinate. Tutti accomunati da un humor che sfida l’idea di seriosità domestica.

Un totem in salotto

Il Carlton, con i suoi 196 cm di altezza, funziona come scultura abitabile: può ospitare libri ma anche diventare altare pop per vinili e oggetti d’arte, facendo dialogare il living con la zona studio in ambienti open-space contemporanei.

6. Materiali, colori e ironia: la grammatica Memphis

La rivoluzione non si ferma alla forma: il collettivo utilizza laminati plastici stampati – fino ad allora considerati materiali “poveri” – accostandoli a metalli cromati, vetro colorato, legno multistrato. Le palette pescano dalle caramelle e dalla street art, dai tessuti africani e dai videogame a 8 bit. L’ironia diventa strumento critico: l’arredo smette di essere neutro fondale e si fa co-protagonista della scena domestica, invitando l’utente a costruire narrazioni personali.

7. Pop culture e collezionismo: dal rock alle aste record

Negli anni Ottanta Memphis colonizza videoclip musicali e set fotografici; David Bowie, celebre per il suo gusto avanguardista, accumula oltre un centinaio di pezzi poi battuti da Sotheby’s nel 2016, con risultati a sei cifre per i mobili più rari. Oggi musei come il V&A di Londra o l’Art Institute of Chicago espongono la libreria Carlton accanto ai classici Bauhaus, a testimonianza di un valore storico ormai riconosciuto.

8. Memphis Milano nell’orbita Italian Radical Design

Archiviato il decennio dei lustrini, il marchio Memphis Milano si è riorganizzato come editore di riedizioni certificate. Nel 2022 è entrato nel portafoglio di Italian Radical Design, gruppo che comprende anche Gufram e punta a custodire l’heritage mentre esplora nuovi mercati digitali. Oggi il catalogo ufficiale ripropone pezzi storici –  Carlton, Tahiti, Casablanca –  realizzati nelle stesse falegnamerie originarie, con numerazione limitata e certificato di autenticità.

9. Dove trovare veri pezzi Memphis

Per chi sogna un arredo Memphis senza passare da un’asta internazionale, i marketplace di design usato sono la via più accessibile. Su Deesup, ad esempio, compaiono periodicamente lampade Flamingo o tavoli Tartar delle prime tirature, verificate da esperti che controllano laminati, viti e marchiature interne. La piattaforma gestisce anche pagamenti sicuri e spedizioni assicurate: un modo concreto per portare in salotto una pagina di storia del radical design, con un occhio sia al portafoglio sia alla sostenibilità circolare.

10. Integrare un arredo Memphis in interni contemporanei

Inserire un pezzo così esuberante richiede strategia: in un loft industriale basta una libreria Carlton per vivacizzare il cemento a vista; in un living minimal nordico, la lampada Tahiti funziona da accento cromatico che rompe la monocromia. Il segreto è il contrasto calibrato: lasciare spazio attorno all’oggetto, usare una tavolozza neutra per pareti e tessili, magari richiamando un singolo colore Memphis in un quadro o in un cuscino. Così l’irriverenza diventa sofisticata e l’oggetto-icona risalta senza urlare.

11. Revival post-modern: nuove generazioni, nuovi pattern

Negli ultimi anni i pattern Memphis spuntano su sneakers, cover per smartphone e capsule collection di brand fashion; studenti di design citano la “libertà disubbidiente” del collettivo come antidoto all’omologazione digitale. Mostre itineranti e progetti collaborativi con marchi come Gufram o Bitossi testimoniano un rinnovato interesse sia culturale che commerciale. Se il Bauhaus insegnò che “less is more”, Memphis ricorda che “more can be fantastic”  – un messaggio ancora esplosivo nell’era dei feed filtrati e della perfezione algoritmica.

12. Conclusioni  –  Un antidoto permanente alla noia progettuale

Memphis Milano non è soltanto un capitolo eccentricamente colorato della storia del design; è la prova che un mobile può essere manifesto, un tappeto può diventare racconto, una lampada può farci sorridere ogni volta che la accendiamo. Oggi, che le case assomigliano sempre più a set condivisi sui social, un pezzo Memphis restituisce spazio all’imprevisto e riporta l’abitare al piacere del gioco. Che si tratti di un Carlton d’epoca scovato su Deesup o di una re-edition ufficiale, l’importante è accogliere quella scintilla di ironia che Sottsass e compagni hanno acceso più di quarant’anni fa – e che, a giudicare dall’entusiasmo delle nuove generazioni, non smetterà di far luce ancora per molto.

Fonte immagine: Memphis Milano – https://memphis.it/

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