Quando negli showroom compare un nuovo divano firmato Mario Bellini, non è solo un arredo a entrare in scena ma un capitolo di storia culturale che si srotola tra ergonomia, tecnologia e poesia formale. Dall’esordio accanto a Gio Ponti al sodalizio con le industrie brianzole, il progettista milanese ha saputo attraversare le stagioni del design mutando pelle come il suo celebre Camaleonda, restando però fedele a un’idea semplice: l’oggetto deve migliorare la vita quotidiana senza ostentare lo sforzo tecnico che l’ha generato.
INDICE
- Radici milanesi e primi passi fra Gio Ponti e La Rinascente
- L’incontro con l’industria del mobile
- Anni ’70, laboratorio di libertà: da Amanta a Camaleonda e Le Bambole
- Riconoscimenti globali: Compassi d’Oro, MoMA e l’eco internazionale
- Architettura in grande scala
- Una poetica del comfort intelligente: la ricerca sui materiali
- Il dialogo inesauribile con B&B Italia tra re-edition e sostenibilità
- La casa-laboratorio di via Sarpi: vivere il progetto dall’interno
- Investire in un originale Bellini: autenticità, manutenzione e valore nel tempo
- Bellini oggi: mostre, docenza e riflessioni sul futuro del design
- Conclusioni – L’eredità aperta di un autore in costante movimento
1. Radici milanesi e primi passi fra Gio Ponti e La Rinascente
La vicenda di Mario Bellini prende forma nella Milano operosa del dopoguerra, quando il Politecnico sforna una generazione di architetti pronti a traghettare l’Italia dal cantiere alla modernità. Laureatosi nel 1959, Bellini trascorre qualche anno nello studio di Gio Ponti, assorbendo la lezione di un maestro capace di oscillare con eleganza fra grattacieli e tazzine da caffè. Ma è nei reparti della grande magazzino-laboratorio La Rinascente che il giovane designer comprende il potere di un oggetto industriale ben pensato: lì allestisce vetrine, entra in contatto con le nuove plastiche e soprattutto impara che il punto d’incontro tra clienti e merci è un’esperienza progettuale a tutti gli effetti.
2. L’incontro con l’industria del mobile
All’inizio degli anni Sessanta la vocazione di Bellini incrocia l’epopea di Olivetti: per la divisione Synthesis disegna sistemi di arredo ufficio che dimostrano come l’ergonomia possa sposare l’estetica senza scendere a patti con l’efficienza produttiva. Nei capannoni di Ivrea impara la disciplina della serie, preziosa quando nel 1966 viene chiamato da Piero Ambrogio Busnelli a guidare la ricerca di C&B, culla sperimentale di ciò che diventerà B&B Italia. Qui, affiancato da ingegneri e chimici, indaga le possibilità del poliuretano espanso a stampo unico, ridefinendo il vocabolario dell’imbottito con il primo sistema Amanta: un guscio in plastica rigida che accoglie cuscini mobili, nato per case sempre più informali.
3. Anni ’70, laboratorio di libertà: da Amanta a Camaleonda e Le Bambole
Se il decennio precedente aveva posto le basi, gli anni Settanta sono per Bellini un’officina a cielo aperto. L’inquieto clima culturale spinge a riconsiderare il modo di stare seduti, di socializzare, persino di abitare. In questo contesto nasce Camaleonda (1970), sistema modulare di cubi imbottiti che si agganciano fra loro con corde da vela: un invito a smontare la rigidità borghese del salotto e a costruire paesaggi morbidi, riconfigurabili all’infinito. Due anni dopo arriva Le Bambole, divano-sacco privo di struttura portante visibile, che sembra scolpito dall’aria; il pubblico lo saluta come manifesto di un comfort disinvolto e il Compasso d’Oro ne sancisce il valore d’innovazione. L’onda lunga di queste invenzioni supera il decennio: Camaleonda viene riallestito al MoMA nel ’72, mentre Le Bambole popola set cinematografici e fotografici fino a diventare icona pop.
4. Riconoscimenti globali: Compassi d’Oro, MoMA e l’eco internazionale
Il passo da Novedrate a Manhattan è breve quando le idee sono dirompenti. Nel 1987 il Museum of Modern Art dedica a Bellini una personale monografica – onore concesso a pochissimi progettisti italiani – e acquisisce venticinque sue opere in collezione permanente, dai calcolatori Programma 101 di Olivetti alle sedute Cab. Nel frattempo la Triennale di Milano gli assegna il Leone d’Oro alla carriera e la giuria dell’ADI continua a premiarlo: i Compassi d’Oro in bacheca diventano otto, un record che testimonia non soltanto prolificità ma capacità di anticipare bisogni latenti – dalla modularità flessibile alla smaterializzazione della struttura – con una coerenza poetica che i mercati riconoscono e replicano.
5. Architettura in grande scala
Gli stessi princìpi di adattabilità e dialogo con l’utente migrano, negli anni Novanta, dal divano alla città. Bellini completa il quartiere fieristico del Portello a Milano, una sequenza di padiglioni-luna che allungano la fiera oltre il perimetro storico; pochi anni dopo riqualifica l’intero complesso con un’operazione di “chirurgia architettonica” che prelude alla nascita del centro congressi MiCo. Parallelamente, in Giappone, il Tokyo Design Center del 1992 si alza come torre-lanterna sulla stazione di Gotanda, facendosi ambasciatore dello stile italiano tra showroom e gallerie. Queste opere non rinnegano l’anima dell’industrial designer: le facciate modulari, i flussi interni pensati come reticoli logici, persino l’acustica delle sale conferenze sono progettati con la stessa meticolosità con cui, vent’anni prima, Bellini decideva la densità del poliuretano.
6. Una poetica del comfort intelligente: la ricerca sui materiali
Al centro della sua visione c’è l’idea che il materiale, più che mero supporto, sia narratore di esperienze. Dagli studi sul corpo umano condotti con medici sportivi alla collaborazione con chimici tedeschi per schiume a memoria di forma, Bellini costruisce oggetti che invitano a muoversi, sdraiarsi, ricomporsi senza che il gesto venga imposto da un diktat formale. Così la sedia Cab, scocca in cuoio portante tirata come una pelle su uno scheletro d’acciaio, celebra la bellezza intrinseca del pellame mentre libera l’utente dalla costrizione di tappezzerie pesanti; e il tavolo Il Colonnato, con gambe cilindriche di marmo grezzo, pone l’elemento lapideo non più come superficie da rifinire ma come colonna vertebrale estetica.
7. Il dialogo inesauribile con B&B Italia tra re-edition e sostenibilità
Quando, nel 2020, B&B Italia rimette in produzione Camaleonda in versione totalmente riciclabile, la stampa parla di “ritorno dell’instagram sofa”. Bellini, quasi novantenne, partecipa ai biscotti di prototipazione per garantire che le imbottiture a base bio riproducano la resilienza del progetto originario. Lo stesso avviene per Le Bambole 50th Anniversary, che adotta tessuti provenienti da reti da pesca recuperate in mare: un ponte ideale tra l’utopia collettiva degli anni Settanta e l’urgenza ambientale di oggi. In un mercato sempre più affollato di nostalgie facili, l’operazione convince perché unisce memoria e innovazione senza farsi mero esercizio di restyling.
8. La casa-laboratorio di via Sarpi: vivere il progetto dall’interno
Chi varca la soglia dell’appartamento-studio che Bellini ha ricavato in un’ex officina del quartiere Sarpi percepisce subito che ogni pezzo è lì per essere usato, non venerato. La cucina-isola, disegnata a inizio 2000 per Boffi, convive con prototipi di sedute ancora prive di telaio definitivo; le pareti ospitano quadri di amici artisti ma anche bozzetti annotati a matita che raccontano la genesi di un concept. Questo ambiente domestico, aperto a studenti e collaboratori, funziona da barometro di vivibilità: se un’idea non regge allo stress test della vita quotidiana, difficilmente troverà posto in catalogo.
9. Investire in un originale Bellini: autenticità, manutenzione e valore nel tempo
Per chi cerca sul mercato dell’usato un Camaleonda o un Amanta, il primo indizio di genuinità è la targhetta in alluminio fissata al fondo del modulo, seguita dal codice alfanumerico incassato nella struttura in resina. A distanza di cinquant’anni, la schiuma a cellula chiusa mantiene un rimbalzo elastico che gli imitatori raramente replicano; un rapido test è premere con il ginocchio e osservare come il cuscino torni in quota senza avvallamenti. Quanto ai rivestimenti, i velluti originali di B&B tendono a “gonfiare” leggermente la fibra, mentre quelli aftermarket appaiono più lucidi e rigidi. In termini di valutazione economica, i moduli primi anni Settanta conservano un aumento medio annuo del 7-9 %, soprattutto se corredati di documentazione fotografica o garanzie d’origine: un rendimento che avvicina l’arredo da collezione ad asset più tradizionali, con il vantaggio di poterlo godere ogni giorno.
10. Bellini oggi: mostre, docenza e riflessioni sul futuro del design
Sebbene l’agenda sia fitta di retrospettive – dall’omaggio della Triennale di Milano alla rassegna itinerante “EyesOpen!” dedicata al dialogo tra tecnologia e sensi – Bellini continua a dialogare con le nuove generazioni, tenendo lecture che spiazzano per lucidità visionaria. Quando gli chiedono quale sia la sfida del design contemporaneo, risponde che l’oggetto deve “scomparire”, cioè diventare talmente adatto al contesto da non gridare la propria presenza. Un paradosso se pensiamo alla forza iconica delle sue opere, ma coerente con la necessità di ridurre sprechi di materiale e di significato: la vera forma del futuro, suggerisce, sarà tanto leggera da pesare soprattutto nella mente.
11. Conclusioni – L’eredità aperta di un autore in costante movimento
Rileggere la traiettoria di Mario Bellini significa attraversare sessant’anni di domande sul rapporto fra uomo, tecnica e ambiente. Dai primi incarichi per uffici Olivetti al restyling green di Camaleonda, ogni progetto dimostra come l’intelligenza costruttiva possa tradursi in empatia d’uso e in bellezza destinata a durare. In un’epoca che riscopre il valore dell’usato certificato, possedere un arredo firmato Bellini non è solo un gesto di collezionismo: è l’adesione a un’idea di progresso che non teme di cambiarsi d’abito pur restando fedele a se stessa. Chi oggi sceglie di sedersi su uno dei suoi divani – nuovo o vintage che sia – partecipa a un racconto ancora aperto, pronto a modulare forme e funzioni secondo i bisogni di domani, con la stessa flessibilità del “camaleonte” che mezzo secolo fa rivoluzionò il nostro modo di abitare.
Fonte immagine: Fuori Salone – https://www.fuorisalone.it/